Don Giovanni in Emilia (III)
Il rapporto “strettamente confidenziale” della mia ospite a tavola si era concluso, mentre terminava anche la cena. Il concerto era a metà. Risalimmo al piano di sopra prendendo posto nel tavolino riservato.
Non mi ero lasciato toccare da quella triste storia, né ero rimasto particolarmente sorpreso: non si trattava affatto di un caso isolato. Sono cose che succedono in una ambiente di antica matrice contadina, chiuso e repressivo, come quello di Ferrara. Anche la mia giovinezza è stata segnata da fortissime inibizioni sessuali che hanno lasciato un segno indelebile nelle mie successive (non) relazioni con le donne; e l’abitudine a trattenere e nascondere le emozioni, a vergognarsi di ciò che procura piacere perché inconsciamente percepito come peccaminoso, è una grave sciagura a me ben nota.
Tornando a Silvana, avevo compreso le necessità di lei, ma non intendevo soddisfarle. Il suo desiderio era evidentemente quello di trovare una persona seria e affettuosa, di età compatibile, che le stesse accanto, sostenendola nella vecchiaia incombente: il risvolto erotico-sessuale, l’attrazione dei sensi, coerentemente con quanto mi aveva rivelato, non era previsto nei suoi programmi, quando invece nei miei sogni di un improbabile riscatto, l’amore fisico sta ai primi posti. Non mi sento di condividere questa vocazione al prepensionamento e al disarmo totale, distaccandomi volontariamente, dopo una vita di mortificazioni e rinunce, proprio da ciò che non ho mai goduto. Mi ero identificato con l’ex compagno di Silvana e cinicamente, come aveva fatto lui, la abbandonavo al suo destino.
Visto l’andamento della serata, avrei voluto godermi senza ulteriori distrazioni la seconda metà del concerto.
Seduti al tavolino, mi guardavo d’attorno: c’erano giovani sui 30-40 anni con le loro ragazze o amiche, fresche, carine, ben curate e con l’aria di non aver mai avuto problemi di disadattamento sociale, sessualità repressa, difficoltà di relazione, disistima, che sono sempre stati il mio pane quotidiano. E il raffronto con la mia stagionata “amante” accresceva la mia sensazione di estraneità e i rimpianti: ecco ciò che il tempo mi riservava nel prossimo futuro: l’amore settembrino, l’agonia degli ultimi fuochi di una passione mai veramente divampata, per mancanza di ossigeno o di alimento, il liquido dissolversi di una candela di cera ormai consumata…
Il rientro dei tre musicisti mi riscosse da quei torvi pensieri. C’era il contrabbasso, il pianoforte e il bandoneon (una piccola fisarmonica quadrangolare con i pulsanti su entrambe i lati, il cui suono dona un caratteristico colore al tango argentino).
Il rapporto “strettamente confidenziale” della mia ospite a tavola si era concluso, mentre terminava anche la cena. Il concerto era a metà. Risalimmo al piano di sopra prendendo posto nel tavolino riservato.
Non mi ero lasciato toccare da quella triste storia, né ero rimasto particolarmente sorpreso: non si trattava affatto di un caso isolato. Sono cose che succedono in una ambiente di antica matrice contadina, chiuso e repressivo, come quello di Ferrara. Anche la mia giovinezza è stata segnata da fortissime inibizioni sessuali che hanno lasciato un segno indelebile nelle mie successive (non) relazioni con le donne; e l’abitudine a trattenere e nascondere le emozioni, a vergognarsi di ciò che procura piacere perché inconsciamente percepito come peccaminoso, è una grave sciagura a me ben nota.
Tornando a Silvana, avevo compreso le necessità di lei, ma non intendevo soddisfarle. Il suo desiderio era evidentemente quello di trovare una persona seria e affettuosa, di età compatibile, che le stesse accanto, sostenendola nella vecchiaia incombente: il risvolto erotico-sessuale, l’attrazione dei sensi, coerentemente con quanto mi aveva rivelato, non era previsto nei suoi programmi, quando invece nei miei sogni di un improbabile riscatto, l’amore fisico sta ai primi posti. Non mi sento di condividere questa vocazione al prepensionamento e al disarmo totale, distaccandomi volontariamente, dopo una vita di mortificazioni e rinunce, proprio da ciò che non ho mai goduto. Mi ero identificato con l’ex compagno di Silvana e cinicamente, come aveva fatto lui, la abbandonavo al suo destino.
Visto l’andamento della serata, avrei voluto godermi senza ulteriori distrazioni la seconda metà del concerto.
Seduti al tavolino, mi guardavo d’attorno: c’erano giovani sui 30-40 anni con le loro ragazze o amiche, fresche, carine, ben curate e con l’aria di non aver mai avuto problemi di disadattamento sociale, sessualità repressa, difficoltà di relazione, disistima, che sono sempre stati il mio pane quotidiano. E il raffronto con la mia stagionata “amante” accresceva la mia sensazione di estraneità e i rimpianti: ecco ciò che il tempo mi riservava nel prossimo futuro: l’amore settembrino, l’agonia degli ultimi fuochi di una passione mai veramente divampata, per mancanza di ossigeno o di alimento, il liquido dissolversi di una candela di cera ormai consumata…
Il rientro dei tre musicisti mi riscosse da quei torvi pensieri. C’era il contrabbasso, il pianoforte e il bandoneon (una piccola fisarmonica quadrangolare con i pulsanti su entrambe i lati, il cui suono dona un caratteristico colore al tango argentino).
Tango Jazz Trio
Gianni Iorio bandoneon
Pasquale Stafano pianoforte
Alessandro Terlizzi contrabbasso
Gianni Iorio bandoneon
La musica era molto gradevole e intrigante, ma non riusciva a “prendere” la demi-vièrge che mi stava a fianco poiché ogni tanto questa interrompeva il suo imbarazzato silenzio con qualche commento fuori luogo. Si trovava evidentemente in un ambiente a cui non era per nulla abituata; le sue osservazioni si concentravano soprattutto sulle buffe smorfie del leader del gruppo, il pianista, il quale, come spesso succede a certi artisti quando sono completamente posseduti dalla musica che loro stessi stanno creando, muoveva la testa, roteava gli occhi, biascicava come una cammella in calore, insomma, “accompagnava” con tutto il suo corpo i suoni prodotti dallo strumento; e il pianoforte, “l’oscuro oggetto del desiderio” con cui in quel momento aveva intimi e ritmici contatti, era la sua donna.
Pasquale Stafano pianoforte
Tutti quei gesti, le comiche espressioni del viso, l’abile e carezzevole movimento delle dita, erano verosimilmente la conseguenza di un prolungato, intenso orgasmo musicale. Ma Silvana, forse inconsciamente turbata da tale manifesta sensualità, così impudicamente esibita e goduta, anziché lasciarsi sedurre dal ritmo del tango – un ballo che, come noto, possiede una forte carica erotica, dove la coppia mima l’atto sessuale e le cui torbide origini si perdono fra i sobborghi e i bordelli di Buenos Aires del primo ‘900 - non trovava di meglio che fare delle battutine circa la sanità di mente dello “scandaloso” musicista.
Io, più avvezzo a quelle situazioni di voyeurismo musicale, non avendo avuto nemmeno la consolazione di un bacio estorto alla mia pudica ospite, ero comprensibilmente infastidito dai suoi inopportuni interventi. Tuttavia non potevo zittire la mia amica come una qualunque estranea.
Commenti così scioccamente naif, pur nella loro genuina naturalezza, la dicono lunga sulla sensibilità artistica di colui o colei che li pronuncia e corrispondono alle affermazioni di certe persone che non apprezzano la pittura moderna poiché nelle opere contemporanee non sono chiaramente individuabili figure, visi, corpi, oggetti, elementi del paesaggio oppure, se anche vi si trovano forme familiari, sono i colori o gli accostamenti a lasciare perplessi in quanto stravolti rispetto alla consuetudine.
Per fortuna, dopo qualche altra ingenua osservazione a cui rispondevo laconicamente con un sorriso di circostanza, evitando di dare risposte che avrebbero potuto innescare nuove curiosità e richieste, Silvana si acquietò, essendo ormai priva di argomenti.
Così si era conclusa la mia serata “trasgressiva” con l’amante clandestina che un destino misericordioso mi aveva concesso: i soliti equivoci, il solito nulla di fatto, le solite insormontabili complicazioni e incomprensioni, le ben note delusioni che da sempre avvelenano le mie relazioni con l’altro sesso.
La riaccompagnai a casa; io avevo recuperato la mia rassegnata compostezza; quelle poche ore trascorse insieme mi avevano fatto perdere qualunque interesse in un eventuale proseguimento dell’”avventura”: il desiderio aveva ceduto il posto alla compassione e nulla è altrettanto letale per la libido quanto questo nobile sentimento. Silvana era ritornata ai miei occhi una donna come tante che portava nel cuore il suo piccolo mondo antico, un essere umano in cerca della serenità, malgrado le macerie, le paure, i disastri fisici e psicologici. Mi faceva un po’ pena. Purtroppo, quando vengono toccate le corde della compassione, del sentimento fraterno, della condivisione e partecipazione alla sofferenza altrui, l’attrazione sessuale, l’eros, l’eccitazione svaniscono completamente: è impossibile abbandonarsi ad un’egoistica soddisfazione dei sensi quando l’oggetto del nostro amore profano ci ispira cristiana pietà.
La mia partner non aveva apparentemente subito un analogo tracollo di interesse. Forse quelle sue rivelazioni molto intime l’avevano liberata di un peso, ed era più sciolta, più complice; forse pensava che io avrei potuto offrirle quel conforto, quella compagnia, quel sostegno… l’amore (?) che cercava... Ma io non ero più lo stesso uomo di prima, spinto da una maldestra passionalità e intraprendenza. Improvvisamente, guardandomi d’attorno in quel locale, ero stato trafitto da un pensiero: la somma delle nostre età superava i 100 anni...
Durante il tragitto aveva continuato a raccontarmi qualche altro dettaglio riguardo la sua vicenda personale, buttandola sullo scherzo, ma forse con l’intenzione di saggiare le mie reazioni alle sue confidenze. Disse, ridacchiando un po’ forzatamente che il suo ginecologo, quando lei era ancora giovane e, immagino, piuttosto procace e avvenente, si era prodotto in una frase che suonava più o meno così: “Come medico, come uomo e come amico, nella sua patatina mi ci tufferei volentieri!”. Era chiaramente una avance a cui lei non diede seguito o a cui reagì – non ricordo bene - cambiando ginecologo. Insomma, era un caso esemplare - e disperato - di tardo “mariagorettismo” incurabile, trapiantato su un corpo che in altri tempi, doveva aver fatto la sua figura.
Quando arrivammo sotto casa si decise a farmi qualche domanda per sondare la “bontà” delle mie intenzioni, immagino per i soliti timori femminili che saltano sempre fuori, anche a 50 anni suonati, ovvero la paura di incappare in un avventuriero ingannatore, un disonesto o un maniaco. Non ricordo esattamente quello che mi chiese e quello che risposi. Avrei voluto farle comprendere che alla nostra età non è più sufficiente guardarsi teneramente negli occhi, con le mani nelle mani, per sentirsi appagati. Non fui molto convincente, ma ormai non aveva alcuna importanza. Silvana non mi interessava più. Non ho l’età, la voglia, il tempo, né ho la vocazione e lo spirito di sacrificio per affrontare un rapporto di puro volontariato sociale nei pochi anni che mi rimangono prima del decadimento fisico, per imbarcarmi in una relazione missionaria di assistenza e protezione, un amichevole sodalizio da cui il piacere fisico sarebbe pressoché bandito. Naturalmente non potevo essere così esplicito e crudele con la mia ansiosa “amante”. Avrei voluto dirle che non ero assatanato di sesso, che avrei avuto pazienza, ma che tuttavia il rapporto fra un uomo ed una donna non ha senso senza l’incontro e la reciproca soddisfazione sessuale.
Questa almeno è la mia opinione; ma sarebbe stato un discorso puramente accademico, non più riferibile a noi due.
Ci lasciammo così: io con il mio cronico senso di incompiutezza e lei ferita nei sentimenti e nelle aspettative, convinta forse di aver incontrato il solito maschio egoista e insensibile che mirava unicamente alla sua “patatina”. Tipica inevitabile, incolmabile incomprensione tra l’uomo e la donna.
Mi avviai sulla strada di casa. Erano le due di notte; la disavventura già mentalmente archiviata. Mia moglie sicuramente dormiva sonni onesti e puri, ignara dell’ennesima sbandata libertina del suo riprovevole marito, fallimentare adultero, resistibile seduttore sempre punito nei suoi maldestri tentativi di tradimento da un destino beffardo e moralizzatore. Inaspettatamente il cellulare che avevo lasciato acceso si mise a trillare. Era Silvana. “Che ti è successo?”, le chiesi. Senza tanti preamboli, con affettato orgoglio, mi disse che l’avevo molto delusa e mi ero dimostrato non diverso da tutti gli altri uomini che hanno in mente solo il sesso e trascurano il valore dei sentimenti. Non avevo alcuna voglia di controbattere: per me era un discorso finito. Aggiunse che tutto quanto mi aveva raccontato era falso; era solo un’invenzione per “mettermi alla prova” e scoprire se ero sinceramente interessato a lei. Insomma, mi avrebbe narrato la favola della sua riacquistata verginità su suggerimento di un’amica che l’aveva messa in guardia riguardo l’insincerità e l’innata mascalzonaggine degli uomini. Così facendo, era già riuscita a smascherare un falso “amico”, un tale conosciuto dopo la separazione – cioè un mese prima del nostro incontro – (… Però!… Bella media!… Un pretendente al mese… Avercela una spasimante che si facesse avanti, anche con intenzioni poco serie, ogni 4 o 5 settimane!…). La storia era talmente inverosimile e comica da sembrare il soggetto di un’opera buffa.
Io, più avvezzo a quelle situazioni di voyeurismo musicale, non avendo avuto nemmeno la consolazione di un bacio estorto alla mia pudica ospite, ero comprensibilmente infastidito dai suoi inopportuni interventi. Tuttavia non potevo zittire la mia amica come una qualunque estranea.
Commenti così scioccamente naif, pur nella loro genuina naturalezza, la dicono lunga sulla sensibilità artistica di colui o colei che li pronuncia e corrispondono alle affermazioni di certe persone che non apprezzano la pittura moderna poiché nelle opere contemporanee non sono chiaramente individuabili figure, visi, corpi, oggetti, elementi del paesaggio oppure, se anche vi si trovano forme familiari, sono i colori o gli accostamenti a lasciare perplessi in quanto stravolti rispetto alla consuetudine.
Per fortuna, dopo qualche altra ingenua osservazione a cui rispondevo laconicamente con un sorriso di circostanza, evitando di dare risposte che avrebbero potuto innescare nuove curiosità e richieste, Silvana si acquietò, essendo ormai priva di argomenti.
Così si era conclusa la mia serata “trasgressiva” con l’amante clandestina che un destino misericordioso mi aveva concesso: i soliti equivoci, il solito nulla di fatto, le solite insormontabili complicazioni e incomprensioni, le ben note delusioni che da sempre avvelenano le mie relazioni con l’altro sesso.
La riaccompagnai a casa; io avevo recuperato la mia rassegnata compostezza; quelle poche ore trascorse insieme mi avevano fatto perdere qualunque interesse in un eventuale proseguimento dell’”avventura”: il desiderio aveva ceduto il posto alla compassione e nulla è altrettanto letale per la libido quanto questo nobile sentimento. Silvana era ritornata ai miei occhi una donna come tante che portava nel cuore il suo piccolo mondo antico, un essere umano in cerca della serenità, malgrado le macerie, le paure, i disastri fisici e psicologici. Mi faceva un po’ pena. Purtroppo, quando vengono toccate le corde della compassione, del sentimento fraterno, della condivisione e partecipazione alla sofferenza altrui, l’attrazione sessuale, l’eros, l’eccitazione svaniscono completamente: è impossibile abbandonarsi ad un’egoistica soddisfazione dei sensi quando l’oggetto del nostro amore profano ci ispira cristiana pietà.
La mia partner non aveva apparentemente subito un analogo tracollo di interesse. Forse quelle sue rivelazioni molto intime l’avevano liberata di un peso, ed era più sciolta, più complice; forse pensava che io avrei potuto offrirle quel conforto, quella compagnia, quel sostegno… l’amore (?) che cercava... Ma io non ero più lo stesso uomo di prima, spinto da una maldestra passionalità e intraprendenza. Improvvisamente, guardandomi d’attorno in quel locale, ero stato trafitto da un pensiero: la somma delle nostre età superava i 100 anni...
Durante il tragitto aveva continuato a raccontarmi qualche altro dettaglio riguardo la sua vicenda personale, buttandola sullo scherzo, ma forse con l’intenzione di saggiare le mie reazioni alle sue confidenze. Disse, ridacchiando un po’ forzatamente che il suo ginecologo, quando lei era ancora giovane e, immagino, piuttosto procace e avvenente, si era prodotto in una frase che suonava più o meno così: “Come medico, come uomo e come amico, nella sua patatina mi ci tufferei volentieri!”. Era chiaramente una avance a cui lei non diede seguito o a cui reagì – non ricordo bene - cambiando ginecologo. Insomma, era un caso esemplare - e disperato - di tardo “mariagorettismo” incurabile, trapiantato su un corpo che in altri tempi, doveva aver fatto la sua figura.
Quando arrivammo sotto casa si decise a farmi qualche domanda per sondare la “bontà” delle mie intenzioni, immagino per i soliti timori femminili che saltano sempre fuori, anche a 50 anni suonati, ovvero la paura di incappare in un avventuriero ingannatore, un disonesto o un maniaco. Non ricordo esattamente quello che mi chiese e quello che risposi. Avrei voluto farle comprendere che alla nostra età non è più sufficiente guardarsi teneramente negli occhi, con le mani nelle mani, per sentirsi appagati. Non fui molto convincente, ma ormai non aveva alcuna importanza. Silvana non mi interessava più. Non ho l’età, la voglia, il tempo, né ho la vocazione e lo spirito di sacrificio per affrontare un rapporto di puro volontariato sociale nei pochi anni che mi rimangono prima del decadimento fisico, per imbarcarmi in una relazione missionaria di assistenza e protezione, un amichevole sodalizio da cui il piacere fisico sarebbe pressoché bandito. Naturalmente non potevo essere così esplicito e crudele con la mia ansiosa “amante”. Avrei voluto dirle che non ero assatanato di sesso, che avrei avuto pazienza, ma che tuttavia il rapporto fra un uomo ed una donna non ha senso senza l’incontro e la reciproca soddisfazione sessuale.
Questa almeno è la mia opinione; ma sarebbe stato un discorso puramente accademico, non più riferibile a noi due.
Ci lasciammo così: io con il mio cronico senso di incompiutezza e lei ferita nei sentimenti e nelle aspettative, convinta forse di aver incontrato il solito maschio egoista e insensibile che mirava unicamente alla sua “patatina”. Tipica inevitabile, incolmabile incomprensione tra l’uomo e la donna.
Mi avviai sulla strada di casa. Erano le due di notte; la disavventura già mentalmente archiviata. Mia moglie sicuramente dormiva sonni onesti e puri, ignara dell’ennesima sbandata libertina del suo riprovevole marito, fallimentare adultero, resistibile seduttore sempre punito nei suoi maldestri tentativi di tradimento da un destino beffardo e moralizzatore. Inaspettatamente il cellulare che avevo lasciato acceso si mise a trillare. Era Silvana. “Che ti è successo?”, le chiesi. Senza tanti preamboli, con affettato orgoglio, mi disse che l’avevo molto delusa e mi ero dimostrato non diverso da tutti gli altri uomini che hanno in mente solo il sesso e trascurano il valore dei sentimenti. Non avevo alcuna voglia di controbattere: per me era un discorso finito. Aggiunse che tutto quanto mi aveva raccontato era falso; era solo un’invenzione per “mettermi alla prova” e scoprire se ero sinceramente interessato a lei. Insomma, mi avrebbe narrato la favola della sua riacquistata verginità su suggerimento di un’amica che l’aveva messa in guardia riguardo l’insincerità e l’innata mascalzonaggine degli uomini. Così facendo, era già riuscita a smascherare un falso “amico”, un tale conosciuto dopo la separazione – cioè un mese prima del nostro incontro – (… Però!… Bella media!… Un pretendente al mese… Avercela una spasimante che si facesse avanti, anche con intenzioni poco serie, ogni 4 o 5 settimane!…). La storia era talmente inverosimile e comica da sembrare il soggetto di un’opera buffa.
Non mi ero accorto di interpretare un ruolo del Così fan tutte di Mozart/Da Ponte, a parti invertite. Nel capolavoro mozartiano la finzione, messa in atto per provare la fedeltà femminile, aveva per oggetto due nobildonne ferraresi, Fiordiligi e Dorabella; nella variante privata della pièce, ero io, invece, l’unico destinatario della beffa.
Dopo quella telefonata non ho più visto né sentito la mia machiavellica e fantasiosa esaminatrice… Davvero la realtà supera la fantasia e gli esami non finiscono mai…
Ad ogni modo, ho onorato gli impegni presi con Silvana, anche se a sua insaputa, trascrivendo fedelmente la sua commovente vicenda… e la mia.
[fine] Dynomite
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