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venerdì 26 ottobre 2007

La città del disamore (I)

1° racconto:

La città del disamore
(Parte I)



Angelica mi aveva lasciato. Non era più mia. C’era un altro. Da un po’ di tempo la sentivo distratta e lontana: il sorriso sforzato, quando c’era, lo sguardo assente, i modi formali e distaccati, e poi il crudele stillicidio dell’indifferenza… Era finita. Dovevo dimenticarla.
Mi scaraventai giù in strada per sfuggire alla ringhiante canea dei ricordi. Ferrara mi era nemica. Lungo via Garibaldi la gente mi guardava storto; la mia condanna era già di pubblico dominio: reietto, proscritto, esiliato dall’amore!…Le donne, giovani e meno giovani, sapevano, e approvavano: giustizia era fatta! Frugai con lo sguardo fra quei volti femminei, insofferenti e ostili, cercando un po’ di clemenza o di compassione, ma inutilmente. Le ragazze di passaggio storcevano la bocca o giravano il bel viso verso le vetrine; altre, sentendosi osservate nel loro elegante incedere, fiammeggiavano rapide e accigliate nella mia direzione, subito riprendendo il loro sussiegoso contegno.
Alcune coppie camminavano affiancate, tenendosi per mano. Le ragazze accoglievano compiaciute, come un doveroso omaggio alla loro bellezza, le mie occhiate di mal celata invidia; ma non mi erano grate. Avevano dipinto nel viso l’orgoglio della conquista, la soddisfazione di appartenere ad una casta privilegiata, unita ad un non so che di malizioso ed esibito, e rigettavano i miei sguardi aggrappandosi al loro uomo come leonesse sulla preda.

La piazza municipale era ingombra di tetri presagi. La rosea nudità della cattedrale sforava di sotto la nera corona del Volto del Cavallo, concedendosi lascivamente ad essere osservata come attraverso lo speculum ginecologico.










































La coppia di felini del protiro vigilava quel fiore virgineo stretto fra esili colonne.




























Una strana foschia aveva cancellato la base del duomo. Tutto il suo corpo nudo si offriva impudicamente sulla morbida coltre di nebbia raccolta nel catino naturale del sagrato; le grandi labbra oscenamente protese: fatale tentazione, torbido peccato, mortale pericolo per la mia anima!... Dalla molle alcova, sugli angoli estremi della gradinata, spuntava la groppa leonina dei grifi, con il rostro minaccioso pronto a straziarmi il cuore.






























Alzai lo sguardo. Alla sommità del timpano, Cristo mostrava le mani con impressi i segni cruenti della crocifissione, scatenando i miei sensi di colpa per l’umiliante confronto fra la Sua salvifica e la mia profana passione.


Sotto di Lui era iniziato il tremendo Giudizio.




Come in un lager nazista, gli eletti, in atteggiamento di preghiera, a mani giunte, vestiti di una semplice tunica, erano separati dai peccatori, ignudi, con il viso sconvolto per l’imminente supplizio. Ed io ero fra questi.

















A lato, più in basso la visione della pena: diavoli sogghignanti gettavano i miseri in un liquido rovente.





















Piegai verso il Listone, seguendo a capo chino la fila dei condannati diretti verso il luogo dell’eterno dolore. Passai sotto il giogo formato dalla torre dell’orologio. Uno strato di vapore biancastro mi copriva i piedi: era il ribollire del sottosuolo infernale. Percorsi il mesto sentiero che conduceva all’Averno. Ad un tratto una luce flebile nella nebbia mi offrì un barlume di speranza, come un faro lontano ad una nave alla deriva: era l’insegna di un pub.

Mi infilai in quella bolgia chiassosa, allegra, vitale che forse poteva salvare la mia anima o lenire le mie pene, ma subito mi accorsi che quello non era il luogo adatto per distrarre lo spirito dalle sofferenze d’amore. Gruppi di giovani ridevano rumorosamente; qualche bellimbusto scherzava a voce alta per far colpo sulle amiche. Una coppia si scambiava effusioni; alcune ragazze erano in intimo colloquio con il loro boy friend: lo sguardo sognante, la testa appoggiata alla sua spalla, le mani intrecciate, i corpi uniti, gli occhi di lei persi in quelli di lui…oh, supremo sconforto, crudele tormento è l’amore quando nessuno ti ama!...Come può la perdita del Paradiso precipitarti così subitamente all’Inferno senza neppure la speranza del perdono?
Assorto in quei foschi pensieri, sorseggiavo un boccale di “Red Devil”, quando il giovane di servizio ai tavoli mi chiese, gentilmente, ma con fermezza:
- Ti spiace se faccio accomodare qui quel signore – e indicava un tizio appoggiato al bancone – che è già da un po’ in attesa di sedersi? Purtroppo Il locale è pieno e non ho neanche un posto libero… Così vi fate compagnia!
Annuii meccanicamente senza alzare gli occhi dalla mia birra. L’uomo si sedette e cortesemente mi ringraziò. Passarono alcuni minuti di imbarazzato silenzio. Io ero troppo preso dalle mie dolorose riflessioni e anche un po’ seccato da quella importuna presenza. Intuendo il mio disagio, come per scusarsi, il tizio si sentì in obbligo di attaccare discorso:
- I tuoi amici sono andati in discoteca?
- Non so. Volevo stare da solo.
- E hai lasciato la ragazza a casa?
- Non ce l’ho più la ragazza…da ieri…- risposi con voce sorda.
- Oh, mi dispiace! – disse premuroso - …ma sei giovane: presto ti innamorerai di nuovo e alla tua ex non ci penserai più…
- Non è facile dimenticarla... Angelica è unica!... Le altre non mi interessano.
- Angelica!…– ripeté l’uomo fra sé – Bel nome…È lo stesso di un personaggio dell’Orlando furioso
- Si, conosco la storia, si studia a scuola…
- E hai mai notato che l’eroina dell’Ariosto è un vero e proprio modello della donna ferrarese?
- Non so. Queste cose al liceo non ce le hanno spiegate.
Con un largo sorriso e una luce divertita negli occhi, il mio ospite si affrettò a ribattere:
- Ma per questo ci sono io!…Ti aiuterò a dimenticare la tua fidanzata, vedrai! – e senza attendere il mio assenso, attaccò una specie di conferenza con il tono profetico dello scienziato impaziente di rivelare al mondo le sue sensazionali scoperte:
- La bionda Angelica, bellissima figlia del re del Catai (la Cina di Marco Polo, per intenderci), si materializza fra i maschi guerrieri al solo scopo di turbare gli animi e gettare lo scompiglio negli opposti schieramenti cristiani e saraceni, i cui migliori campioni si distraggono dalle guerresche imprese per amor suo.





Angelica è quindi perennemente in fuga dai valorosi paladini suoi spasimanti, che tuttavia lei disdegna, così come si mostra insensibile all’esibizione delle loro più virili qualità: la forza, il coraggio, l’orgoglio maschile, la baldanza, la pretesa superiorità sessuale, l’attrattiva erotica…Non sono forse così anche le donne nostrane che ostentano modi distaccati e aristocratici; molto belle, quando sono belle, ma tutte un po’ distanti e contegnose? Le “principesse ferraresi” sono di una bellezza seducente ma incorporea; regine che innamorano ma non mostrano, non sanno, o non vogliono essere preda di passioni. Sfuggenti, inafferrabili, incontentabili, ambiziose, volitive: si aprono al sorriso e ai sentimenti solo con la persona che hanno accuratamente selezionato o che soddisfa un loro ben preciso interesse…
-…Insomma, se la tirano…- mi venne in mente, ma mi limitai ad osservare:
- Però poi Angelica si innamora di Medoro…
- Si - rispose prontamente - ma è vero amore o non piuttosto compassione, un sentimento di carità che esclude l’erotismo? Medoro è un giovanetto dai tratti femminei, un improbabile saraceno di carnagione chiara, biondo e avvenente, come Angelica. Ragazzo di nobili sentimenti, di disarmante ingenuità, coraggioso ma anche un po’ imbranato, si fa beccare dai Cristiani e un armigero gli conficca la lancia nel petto. Creduto morto, viene rinvenuto da Angelica che ne è mossa a pietà e lo cura amorevolmente, ricorrendo alle arti medicamentose apprese in Cina.


Matteo Rosselli (Firenze 1578 - 1650) Angelica cura Medoro ferito Olio su tela, cm 178x198 Firenze, depositi delle Gallerie


Lo sprezzante cuore della fanciulla si lascia intenerire da quel giovane moribondo e indifeso e la premurosa crocerossina è infine vinta dalla passione amorosa, come già era accaduto alla bionda Isotta quando si prese cura di Tristano ferito, sanandolo con pozioni miracolose di cui pure lei era esperta.




Convertita alfine all’amore, non per questo Angelica abbandona il suo piglio deciso e determinato: senza finte ritrosie o bucolici pudori, in quattro e quattr’otto, offre la propria virtù al fortunato giovane, che dimostra di gradire, e poi subito organizza il matrimonio riparatore nell’umile villaggio dei pastori in cui si era nascosta. Senza indugio si rimette in viaggio per il lontano Catai, il cui regno ha deciso di offrire in dote al marito. Medoro ha da poco conosciuto la sua sposa ed è già coinvolto in un ambizioso progetto matrimoniale…
- Ma allora per farsi la ragazza, qui a Ferrara, bisogna fingersi malati? – mi venne stupidamente da commentare.
- Eh, eh... – ridacchiò il mio mentore. – La sindrome della crocerossina miete sempre le sue vittime… Ma non basta: bisogna anche essere belli!.. Scherzo, naturalmente… Ma c’è un fondo di verità in quello che hai detto. Con donne così fiere e sicure di sé bisogna mostrarsi un po’ arrendevoli, delicati, inermi… e condividere con entusiasmo le loro idee e i loro gusti!... Non è facile, certo… e anche l’Ariosto, pur descrivendo vergini sprezzanti e apatiche che destano amore ma non amano; pulzelle impavide e guerriere, maghe ingannatrici e maliarde, amazzoni fatali e androgine, per ingraziarsi e divertire le dame della corte Estense che in quelle eroine si riconoscevano e specchiavano, alla fine mostra di preferire, nella sua più autentica dimensione umana e privata, donne più femminili e passionali, come Doralice, o più dolci e amorevoli, come Fiordiligi che rappresenta l’ideale della fedeltà, del vincolo amoroso coniugale, della dedizione al marito.
L’Angelica ariostesca è capricciosa e frigida, fino all’insperata conversione all’amore, e mette in riga tutti i cavalieri. Il Boiardo, altro poeta padano “contaminatosi” con i raffinati veleni della corte estense, la dipinge come una damigella cinica e opportunista, per non dire perfida…
- Ma insomma, si tratta poi solo di un personaggio di fantasia e di 5 secoli fa! – sbottai, in difesa della mia Angelica.
- Si ma straordinariamente attuale – replicò senza indugio il mio interlocutore - Nell’Orlando innamorato, dove troviamo l’”antefatto” della vicenda che si svilupperà nel Furioso, Angelica è tratteggiata come una specie di Mata Hari, una quinta colonna, un agente segreto inviato dal re del Catai per togliere di mezzo i migliori cavalieri di entrambe le fazioni.

Questi, sedotti dall’irresistibile bellezza della fanciulla, avrebbero potuto conquistarla solo vincendo la sfida lanciata dal fratello di lei che si riteneva invincibile e pensava di farli tutti prigionieri grazie alla sua lancia fatata (un’arma ad alta tecnologia, paragonabile al raggio della morte di cui sono sempre dotati i marziani nei film di fantascienza). Un piano diabolico, degno di una moderna spy story o di un thriller. Solo che il disegno fallisce, il fratello viene ucciso, Angelica si dà alla fuga e inizia la girandola degli inseguimenti.
A questo punto il Boiardo introduce un avvenimento che rimescola le carte in gioco e si dimostra sciaguratamente profetico e rivelatore riguardo il destino di questa nostra sfortunata città e dei suoi abitanti, fino ai giorni nostri...
- E sarebbe?... – domandai, un po’ scettico.
- Nella boscaglia delle Ardenne si trova la fonte magica che trasforma l’amore in odio. Lì nei pressi vi sarebbe anche l’antidoto, cioè un ruscello le cui acque operano l’incantesimo opposto, ovvero mutano il disinteresse in desiderio. Rinaldo beve alla fonte del disamore, si vergogna della propria sconveniente infatuazione e ritorna indietro. Ad Angelica accade il contrario: beve all’altra fonte e si accende di passione per Rinaldo. Così ora è lei ad inseguire il disdegnoso cavaliere. Esemplare dimostrazione del motto: “In amor vince chi fugge!”.




[segue nel post qui sotto]

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